La Bella ciao delle piazze e dei balconi

di Giovanni Benetti


Circa una settimana fa abbiamo ricordato e celebrato l’anniversario della Liberazione d’Italia in una modalità esclusiva, insolita, che però non ci ha reso indifferenti. Dalle piazze ai balconi, questo il titolo che diverse testate giornalistiche hanno riservato all’evento e dove i social si sono resi protagonisti scambiandosi orari di incontri virtuali. In tutto ciò non è venuta a mancare la colonna sonora che ormai da sessant’anni è simbolo di coraggio, rivolta e cambiamento. La Bella ciao che tutti conosciamo, e per chi è rimasto indietro ci ha pensato la ormai nota serie televisiva spagnola La Casa de Papel ideata da Alex Pina e giunta alla seconda stagione con trentuno episodi, rappresenta semplicemente un canto popolare diventato celebre per essere associato alla resistenza italiana del movimento partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale. 
Lasciando a chi è maggiormente competente il significato politico e sociale che i versi e le parole di tale canzone racchiudono, vorrei soffermarmi brevemente sulle poche note che ripetute ciclicamente creano una sorta di girotondo infantile alquanto orecchiabile.  Facile da cantare, basata su frammenti melodici brevi compresi in un intervallo di nona, con andamento metrico binario simile alla scansione di una marcia militare, la canzone della resistenza sembra possedere tutti i presupposti qualitativi per essere il perfetto esempio dell’opposizione e della libertà.
Differentemente da quanto si pensa, Bella ciao diviene la canzone ufficiale della resistenza al termine del Festival dei Due Mondi di Spoleto del 1964 poiché preferita a Fischia il vento, canzone diffusa tra le formazioni partigiane basata su una melodia popolare russa con parole di contenuto socialcomunista e perciò ritenuta troppo esplicita e inadatta. Quale inno di diverse manifestazioni unitarie, Bella ciao non fu mai cantata dai partigiani in prima linea, e l’esistenza di tale sonorità venne rivendicata negli anni successivi da due differenti versioni, in seguito entrambi smentite: prima come canto popolare di lavoro “delle mondine” anteguerra e poi, come ballata amorosa dedicata ad una ragazza marsigliese composta nel 1934 da un certo Rinaldo Salvatori. 
Storia complicata Bella ciao, la quale tra le diverse affermazioni deve allontanarsi dal territorio italiano per trovare la sua vera identità oltre oceano. Sembra infatti che l’origine di tale incipit melodico risalga allo stile estroso e fantasioso di Mishka Ziganoff, compositore e fisarmonicista Klezmer (= genere musicale tradizionale ebraico) nato ad Odessa e titolare di un ristorante a New York, che nel 1919 difronte ad un pubblico improvvisò una musica di danza chiamata Koilen (titolo dell’omonimo brano; durata 3:32;  https://www.youtube.com/watch?v=r0KbSFYbTxA). L’incredibile e forte somiglianza ritmica e melodica tra il brano Klezmer e la canzone della resistenza permette di ottenere una risposta soddisfacente rispetto all’origine della musica di quest’ultima, arrivata nella nostra penisola con il rientro di qualche emigrato. Chiara considerazione che ci permette di affermare come l’apparato musicale di Bella ciao deve essere considerato un vero e proprio inno privo di tali inclinazioni, poiché rappresenta a tutti gli effetti un incrocio di storie differenti che costituiscono il carattere di una musicalità autentica, internazionale e multirazziale. 
Convalidato ciò, sarebbe un’illusione rivendicare il significato ormai "politico" attribuito a Bella ciao, poiché usando le parole del musicologo Franco Fabbri: «ciò che “fa” una canzone politica non è soltanto una certa combinazione di testo e musica (…) ma è il risultato dell’accoglimento da parte di una o più comunità, che ne amplifichino il significato e che ne facciano uso» (articolo su l’Unità, 7/12/2003). Ricordiamoci però che non fu la prima e neanche l’ultima se pensiamo agli anni ’70 con Ohio di Neil Young e Imagine di John Lennon. 

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