Qualcuno salvi la musica! E se fosse la tecnologia a farlo?
di Giovanni Benetti
Musica e tecnologia sembrerebbero mondi distinti le cui vicende scorrono su binari paralleli, ma in realtà le loro storie sono spesso intrecciate, sovrapposte l’una all’altra. I diversi elementi che contribuiscono a definire il carattere della popular music e la sua articolazione in generi, dipendono anche dalle innovazioni tecnologiche.
Nel passaggio tra Ottocento e Novecento il vinile rappresenta il mezzo e il fattore predominante che consente alla popular music di poter essere conservata e commercializzata, con conseguente significative nel panorama dei generi musicali: «Già nei primi anni del secolo il disco comincia a presentarsi – forse più che come un mezzo di riproduzione – come uno strumento di produzione musicale: seleziona suoni e repertori, fa emergere forme e generi rispetto ad altri, spezza l’apparente continuum delle pratiche musicali. Si affermano le musiche da ballo, non solo per il loro valore di intrattenimento ma perché il formato della danza (…) è congruente con le limitazioni di durata del disco».(1)
Alla fine degli anni Quaranta, la grande novità è rappresentata dalla nascita e dall’affermazione dei formati 45 e 33 giri. In particolare, il 33 giri permetteva di conservare di più di quindici minuti di musica per lato, con la conseguente possibilità di mettere sul mercato e rendere fruibili forme e generi di maggiore durata di una canzone da 4-5 minuti, come era fino a quel momento. Di conseguenza, nascono i primi concept album dove le diverse tracce, in ordine, sono percorse e unite da un filo logico e tematico. Nello stesso periodo, l’altra importante innovazione è rappresentata dalla registrazione su nastro magnetico che cambia profondamente il modo di produrre la musica, riducendo i costi di incisione rispetto al disco e moltiplicando le possibilità creative dello studio di registrazione.
Tutto ciò dimostra come i cambiamenti e le innovazioni tecnologiche siano fondamentali nel rapporto con le modalità di fruizione e produzione musicale, tanto da modificarne i connotati e il prodotto finale. Secondo il musicologo inglese Richard Middleton la presenza e l’affermazione dei dispositivi tecnologici hanno contribuito allo sviluppo dei generi e degli stili musicali: «Ci aspettiamo che le canzoni popular prendano forme particolari, usino tecniche vocali e strumentali, e incorporino suoni condizionati dalle caratteristiche date da microfoni, amplificazione, registrazione multitraccia, metodi compositivi non basati sulla notazione, e così via. Ciò influisce sul nostro concetto stesso di che cos’è la musica, sul nostro paesaggio sonoro immaginario. Sono soprattutto i tipi di sonorità con i quali abbiamo familiarità che definiscono la cultura musicale in cui viviamo. Le differenze fra generi e stili sono determinate anche dagli usi contrastanti di questo repertorio di tecniche e di suoni».(2)
Ma nel momento in cui il prodotto musicale definisce la cultura musicale, si deve supporre che alla base di un genere ci sia una comunità di musicisti, intermediari e un pubblico che riconosce e accetta tale definizione. Agendo su questo livello di mediazione del fatto musicale, le tecnologie musicali influiscono sull’aspetto comunitario e confermano quanto definito dall’accademico statunitense Joshua Meyrowitz: «nella musica la tecnologia ha permesso di andare oltre il senso del luogo, ridefinendo le precedenti concezioni spaziali e influenzando in molti modi il comportamento sociale».(3) Se, quindi, un genere musicale è guidato da un insieme di norme socialmente accettate, si può parlare di nuove comunità di musicisti, autori e pubblico che sono allo stesso tempo fonte e prodotto del concetto di genere. Ciò conferma il pensiero dello scrittore americano Timothy Taylor, il quale definisce la tecnologia una tipologia di struttura che permette agli agenti sociali di interagire tra di loro: «technology is a peculiar kind of structure that is made up of both schemas and resources in which the schemas are those rules that are largely unspoken by technology's users, thereby allowing for some degree of determinism, while technology as a resource refers to what we do with it - that is, what is voluntaristic».(4)
Per concludere, si può dunque affermare che le tecnologie musicali non sono neutre, ma rappresentano il mezzo con cui costituire, rappresentare e definire l’essenza e l’esistenza di una comunità musicale: «Technologies are repeatable and crystallized social, cultural and material process in machines».(5)
1. Fabbri F., Il suono in cui viviamo. Saggi sulla popular music, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 19.
2. Middleton R., Studiare la popular music, Feltrinelli, Bologna, 1994, p. 131.
3. Meyrovitz J., Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995, p. 20.
4. Taylor T. Strange Sound – Music, Technology and Culture, Routledge, New York, London, 2001, pag.37.
5. Sterne J. The Audible Past. Cultural Origins of Sound Reproduction, Duke University Press, Durham e London, 2003, p. 8.
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