Riflessioni sull'Arte

di Giovanni Benetti



Capitolo 2°



Il filosofo Massimo Donà, docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, rivolgendosi ai suoi studenti disse: «Non è facile capire cosa tenga insieme un affresco di Signorelli, un’opera di Giotto, una pala di Tiziano, una tavola di Caravaggio, una tela di Pollock e il grande vetro di Duchamp. Opere totalmente diverse, incomparabili tra loro. Sono tutti artisti, ma perché chiamiamo artista il pittore rinascimentale Raffaello Sanzio e allo stesso modo il fotografo ungherese Nickolas Muray? cosa hanno in comune?».

Cercare una definizione di arte è limitante e pressoché impossibile, ancor più dare un significato specifico ad un’opera d’arte è alquanto inappropriato. Come possiamo noi attribuire una determinata spiegazione a quello che l’artista ha voluto mostrare, o nel caso della musica, farci sentire? La sensazione che si prova guardando o ascoltando un prodotto artistico non può essere incastonata all’interno di un articolo di giornale o nel paragrafo di una tesi. L’emozione che ognuno di noi prova, non è la stessa che prova un altro e quindi ne deriva l’impossibilità di costruirne un concetto e una definizione universale. Ogni definizione, che siate critici, intenditori, studiosi o appassionati, è solamente arbitraria e non potrà mai essere una verità assoluta. Ciò che contraddistingue l’arte è che non ammette finzione. Non posso tradire il piacere che un’opera d’arte suscita a me stesso: non posso fingere se un dipinto mi emoziona oppure no. L’arte veicola una verità individuale che non può essere privata e falsificata. 

Il primo incontro avviene quasi per caso, in modo improvviso. L’emozione è reale, senza freni e vincoli. Tutto ciò che si crea in questa prima fase conoscitiva, in questa bellezza spensierata è l’arte di cui stiamo parlando. Un incontro assoluto e meraviglioso talmente affascinante che prende il nome di opera. L’opera d’arte si manifesta senza pudori, divenendo esperienza irrazionale prolungata nel tempo impossibile da svanire. Siamo soli: noi e l’opera. È un piacevole innamoramento. Soltanto in questo momento ci rendiamo conto che di questo incontro ne avevamo bisogno. Una descrizione comprensibile di ciò che ognuno di noi prova in tale situazione è impossibile da concretizzare. L’unico modo per farlo è quello di creare altra arte, di dar voce alle emozioni, al sentimento provato. Questa considerazione rappresenta un’ulteriore difficoltà nel momento in cui si deve dare una risposta al dibattito di ciò che realmente è arte. Talmente individuale è questo innamoramento che non c’è una risposta giusta o una sbagliata. Ognuno lo vede a modo proprio, uno si innamora e l’altro no. A tal proposito, c’è e deve esserci il bisogno e la necessità di rispettare ciò che ogni singolo individuo sente nei confronti di un’opera d’arte. L’arte è soggettiva ed esperienziale. Questa bellezza nell’innamoramento avviene nella stessa modalità nei confronti di una persona, quando siamo follemente innamorati. Anche se affiancati da pregiudizi e pareri esterni discordanti, il nostro innamoramento lo viviamo da soli, nella nostra coscienza razionale di innamorati. Siamo soli e da soli cerchiamo di dare un senso a ciò di cui ci stiamo innamorando. Questo crea appagamento e piacere. 

Questo è ciò che rende l’opera d’arte qualcosa di magico: prima di essere un insieme di tecniche con cui viene realizzata, una serie di mezzi con cui viene percepita è un’esperienza di innamoramento inaspettato che coinvolge tutti i sensi e di cui non siamo in grado di dare una risposta concreta e razionale. L’arte, rappresentata concretamente nell’opera d’arte, che ci piaccia o no, non può essere corretta e ancor di più non può esserne modificata l’attrazione fche un individuo prova su di essa. 

 

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