Riflessioni sull'Arte

di Giovanni Benetti


Capitolo 3°


E se l’opera d’arte avesse il suo unico scopo nella volontà del suo creatore, dell’artista? E se l’arte esistesse solo in funzione dell’essere umano? L’opera d’arte di per sé non sono altro che una tela colorata, un blocco di marmo scolpito, un insieme di note musicali rinchiuse in un pentagramma. Solo l’essere umano ha la capacità di ammirare l’arte, innamorarsene e trarne un significato frutto del suo innamoramento. Ne nasce poi un simbolo, un’evocazione emotiva che genera piacere nel soggetto interessato. Se l’opera d’arte non viene osservata e “amata” da qualcuno perde di fatto la sua qualità più intima, la sua essenza in quanto arte. Il fine dell’opera non è mai l’opera stessa ma la fruizione di qualcuno che possa comprenderla e capirla. Un oggetto diviene opera d’arte solo se accolto, contemplato e amato da qualcuno. Qualsiasi artista vive un’esperienza d’innamoramento nel momento in cui crea, e questa potrebbe già essere definita arte. Un’idea attraverso le mani, la consapevolezza razionale di un’artista, diviene un oggetto concreto in grado poi di stupire ed innamorare. Perciò l’arte diviene opera d’arte sia nei confronti del suo creatore e poi del suo fruitore. Prima nasce, diventa indipendente e poi fa nascere. In questo senso l’arte vive in funzione dell’essere umano perché è uno strumento dell’uomo. L’arte è la rappresentazione della libertà e quest’ultima è uno dei bisogni primari dell’uomo. Quindi l’arte vive in funzione dell’essere umano e si concretizza come il bisogno primario di quest’ultimo, come quell’istinto primordiale che deve essere dimostrato giorno dopo giorno.

Detto ciò, l’opera d’arte non potrà mai venir meno o ancor di più, morire. Chi si arrende a dichiarare che l’arte che non esiste più e che afferma la sua inutilità sta in qualche modo distogliendo lo sguardo verso quello che è un problema di fondo. Se non riusciamo più a riconoscere e ritrovare l’arte in un quadro, un mosaico, una sinfonia, significa che il cambiamento sta avvenendo dentro di noi. La nostra sensibilità e il nostro modo di guardare e ascoltare si stanno rivoluzionando. Con noi cambia il rapporto con l’arte. Le nostre esperienze di vita ci trasformano e con noi anche la nostra visione artistica si modella. Non proviamo più piacere difronte al solito dipinto, o alla medesima sinfonia ma il nostro interesse cambia radicalmente nei confronti di ciò che fino ad ora è rimasto nascosto ed inascoltato. L’uomo coerentemente con il suo cambiamento ha bisogno di stimoli nuovi, che solo la “nuova” arte sa dare. 

Detto ciò, l’opera d’arte non potrà mai venir meno o ancor di più, morire. Chi si arrende a dichiarare che l’arte che non esiste più e che afferma la sua inutilità sta in qualche modo distogliendo lo sguardo verso quello che è un problema di fondo. Se non riusciamo più a riconoscere e ritrovare l’arte in un quadro, un mosaico, una sinfonia, significa che il cambiamento sta avvenendo dentro di noi. La nostra sensibilità e il nostro modo di guardare e ascoltare si stanno rivoluzionando. Con noi cambia il rapporto con l’arte. Le nostre esperienze di vita ci trasformano e con noi anche la nostra visione artistica si modella. Non proviamo più piacere difronte al solito dipinto, o alla medesima sinfonia ma il nostro interesse cambia radicalmente nei confronti di ciò che fino ad ora è rimasto nascosto ed inascoltato. L’uomo coerentemente con il suo cambiamento ha bisogno di stimoli nuovi, che solo la “nuova” arte sa dare.



Nel momento in cui l’opera d’arte può essere indentificata in un oggetto a differenza di un altro, si possiedono tutte le carte in regola per definire cosa non sia arte, o meglio, cosa non debba essere considerato un prodotto artistico. È celebre la citazione «se tutto può essere arte allora niente è arte» usata per rispondere alle frequenti domande circa cos’è arte e cosa non lo è. Tale citazione sembrerebbe perfetta per creare il dualismo vero/falso, ma fino a che punto questa concezione può essere considerata assoluta? Se un’opera d’arte è soggettiva ed individuale, siamo certi che l’emozione trasmessa sarà differente per ognuno e per questo qualsiasi oggetto comune potrebbe essere considerato arte. Ma è qui che viene il bello. L’opera d’arte non potrebbe essere rappresentata da un oggetto comune proprio perché trasmette un contenuto oggettivo e univoco. Questo contenuto per forza di cose deve possedere un certo grado di oggettività affinchè possa essere considerato un prodotto artistico. Per spiegarsi meglio creiamo un paragone tratto dalla quotidianità: “Marco riceve in dono dalla madre un orologio da sempre desiderato”; l’orologio per Marco possiede un valore totalmente diverso da quello che prova la madre o ancor di più il fratello di Marco e per questo l’oggetto non possiede un contenuto oggettivo. Al contrario invece, affacciandosi sulla Venere di Botticelli chiunque proverebbe una sensazione personale e differente dagli altri, ma nessuno proverebbe rabbia o disgusto, ma formulerebbe un giudizio personale ma oggettivo, quindi è un’opera d’arte. Alla fine del 1700, il filoso Kant ha un’intuizione che viene riportata nella sua terza critica, la critica del giudizio, dicendo che non si potrà mai spiegare la bellezza, e quindi anche la bellezza dell’arte, con definizioni e concetti perché la bellezza non può essere definita razionalmente, non è concettualizzabile in semplice oggetto mondano. Nelle cose belle si intravede riflessa la negazione del concetto, del significato. Nell’opera d’arte non si riesce a capire cosa la rende bella. L’opera d’arte è un mistero: è ciò che rende un oggetto qualsiasi un non oggetto. 

 

 


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